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NESSUN IDONEO: L'audizione per il Talento Perduto

Immagine del redattore: Luca MazzonLuca Mazzon

Immagina questa scena: un musicista suona con un'orchestra da anni—concerti, tournée, produzioni.Anni di studio, audizioni, eliminatorie, finali, idoneità, collaborazioni, trial...Conosce il repertorio, lo stile, i colleghi. Finalmente arriva l’occasione di fare l’audizione per il posto fisso. Si prepara, supera le varie selezioni, arriva in finale E poi, "nessun idoneo". 

Oltre ad aver vissuto questa esperienza in prima persona, ho recentemente ho ascoltato il racconto per l’ennesima volta di una delle “barzellette” che risuonano (da più fonti) in merito ai concorsi per posti a tempo indeterminato in orchestra in cui, dopo aver fatto arrivare alcuni musicisti in finale, il verdetto ultimo è stato: nessun vincitore. Ora, per me, questa cosa continua ad essere semplicemente aberrante.

Parliamo di alcune orchestre che, dopo aver invitato per anni gli stessi musicisti professionisti a suonare da aggiunti svariate stagioni, indicono un concorso per il posto fisso aperto a tutti, arrivano all’ultimo round... salvo poi non assegnarlo a nessuno. E, ironia della sorte, nelle stagioni successive li richiamano come aggiunti. Il tutto, talvolta sotto l'occhio ( incredulo) di commissioni composte anche da musicisti che, in passato, hanno ottenuto il posto in orchestra in periodi in cui i concorsi erano quasi un'utopia.

A questo punto, sorgono delle domande legittime. Ma cosa vogliono provare ancora, esattamente?


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Il livello oggi è davvero così basso?

Guardiamo i dati: secondo Hallam (2001), le nuove generazioni di musicisti hanno sviluppato un livello tecnico e interpretativo superiore rispetto alle generazioni precedenti, grazie a una maggiore disponibilità di risorse didattiche, come tecnologie avanzate e un accesso più ampio alla formazione musicale. Inoltre, il numero di musicisti professionisti è significativamente aumentato rispetto al passato, rendendo la competizione per i posti stabili molto più intensa. Questo fenomeno non è limitato solo alla musica: in molti settori, dall'arte alla finanza, la crescita della specializzazione e della globalizzazione ha aumentato il numero di candidati altamente qualificati per un numero sempre più limitato di opportunità di carriera (Freeman, 2008).


La realtà è che lo studio e il talento da soli non bastano.

Lo ha ribadito anche il Dott. Passarotto, neuroscienziato, pianista ed esperto di psicologia della musica, nel seminario della nostra PAME Equipe, nel laboratorio di psicologia e fisioterapia applicata alla musica al Conservatorio di Verona. La ricerca nel campo della psicologia della performance evidenzia come lo studio musicale in sé rappresenti solo una parte del successo professionale di un musicista. La tecnica e la preparazione accademica incidono in maniera significativa, ma sono solo il punto di partenza. Secondo uno studio infatti di Macnamara, Hambrick e Oswald (2014), la pratica e lo studio spiega solo il 21% della varianza nella qualità della performance musicale. In altre parole, la preparazione tecnica è solo un pezzo del puzzle. Il successo professionale dipende da molti altri fattori: contatti, esperienza, approccio mentale, personalità e adattabilità di carriera, background socio-culturale, ambiente di lavoro e rapporto con i colleghi.

E qui viene il bello: se il talento non è abbastanza, è chiaro che è il contesto a giocare un ruolo determinante.

Infatti l'ambiente è essenziale per lo sviluppo del professionista: uno studio di Burland e Davidson (2002) sottolinea come il supporto sociale e ambientale giochi un ruolo fondamentale nello sviluppo del talento musicale, indicando che i giovani musicisti con opportunità strutturate e feedback costante hanno una probabilità significativamente più alta di raggiungere l'eccellenza professionale. 


Un sistema di audizione che non sviluppa, ma frustra

Se prendiamo in prestito un'analisi dal mondo finanziario e del HR, vediamo un fenomeno interessante. Lo studio di Groysberg, Nanda e Nohria (2004) su 1.052 star analyst di Wall Street ha mostrato che la loro performance crollava del 46% nel primo anno dopo aver cambiato azienda oltre al team di lavoro, e calava ulteriormente del 20% nel corso della carriera. Ecco la domanda provocatoria:


"Un talento perde intelligenza e dimentica tutto ciò che ha imparato da un giorno all'altro?"


Ovviamente no. Ma il successo individuale dipende anche dall'ambiente e dalle dinamiche di supporto che una struttura offre. Un musicista, come un professionista di Wall Street, non fiorisce nel vuoto: ha bisogno di un sistema che creda in lui e che gli permetta di esprimere il suo potenziale, ma sopratutto che si sviluppi sinergicamente ASSIEME a lui.

E allora, torniamo al punto: perché queste orchestre fanno suonare le stesse persone per anni, questi musicisti arrivano in finale alle audizioni dopo aver già dimostrato il loro valore sul palco, e poi scartano TUTTI, in finale, con un 'nessun idoneo'? Cosa vogliono dimostrare? Davvero, dopo anni di collaborazioni, questi musicisti non sono all'altezza o è solo un gioco di potere o conflitti, mascherato da presunta ricerca della perfezione?



Investire nel talento, non sprecarlo

Ammettiamo pure che, dopo aver visto i candidati esibirsi per voi, superarli attraverso due, tre o persino quattro round di selezione, nessuno di loro sia esattamente ciò che avevate in mente (sempre ammesso che quell’ideale esista davvero).

Ma c’è un punto fondamentale che molte orchestre (e non solo) sembrano ignorare: il talento non è un’entità statica e immutabile. Si sviluppa, cresce, si affina nel contesto giusto. E se il vostro obiettivo è trovare un musicista ‘perfetto’ al primo colpo, forse state cercando nel modo sbagliato.


In oltre dieci anni di esperienza orchestrale e più di 80, tra audizioni e concorsi, ho visto questo principio disatteso troppe volte. Ho vissuto sulla mia pelle il meccanismo delle selezioni, l'incertezza, l'incoerenza dei giudizi e la mancanza di una visione a lungo termine nel valutare un musicista. Oggi, lavorando anche in ambito HR di career counseling, nell'ambito delle risorse umane osservo come queste dinamiche vengano sempre poco considerate: si tende a valutare solo la performance istantanea, senza riconoscere che un individuo, inserito in un contesto favorevole, può esprimere un potenziale ben superiore a quello che mostrerebbe in un colloquio (o audizione) di pochi minuti. Ma questo richiede un sistema che investa davvero sulle persone, dedicando il tempo e investendoci, e sviluppandosi assieme invece di bruciarle per poi richiamarle quando fa comodo.

Anche perchè sapendo che la qualità di un musicista e le competenze non si osservano solo in un'audizione di pochi minuti (perché signori miei, comunque vada, anche in termini statistici o prestazionali, questa valutazione non è un dato sufficiente), e poi, cosa esisterebbe a fare il periodo di prova?

Così come nel reclutamento aziendale, la vera sfida non è solo trovare a colpo d'occhio il candidato 'perfetto', ma individuare una persona con potenziale, capace di diventare un valore aggiunto, contribuire alla squadra e crescere in un ambiente che favorisca lo sviluppo, l’adattamento e miglioramento continuo.

Se continuiamo a trattare i musicisti come semplici pedine da scartare a piacimento, piuttosto che investire sul loro sviluppo, stiamo solo creando un sistema sterile, che frustra anziché far crescere.


E quindi?

Se il livello medio si è alzato, ma i posti fissi non vengono assegnati, forse il problema non è nei candidati, ma nel sistema di selezione stesso.

Forse dovremmo iniziare a chiederci, dando per scontato che il 'nessun idoneo' sia onestamente il giudizio della commissione – e non piuttosto il risultato di dinamiche interne, giochi di potere o della difficoltà di alcune realtà orchestrali nel lasciare spazio al cambiamento:   Stiamo davvero cercando il miglior talento o stiamo solo perpetuando un sistema difettoso?

Il problema, in tal caso, rischia di essere quello di un sistema che continua a bruciare il talento anziché farlo fiorire, mentre si rifugia nella convinzione rassicurante del 'una volta, ai miei tempi…'.

Una narrazione che, sicuramente, fa dormire sonni tranquilli.

Finché scegliamo di crederci.



© Dott. Luca Mazzon - PERPSY.it - Performance & Clinical Psychologist *

Dipl. Mus., M. Mus., B. Sc., M. Sc. Psy.


*I contenuti presenti sul blog di PERPSY.it – dei quali è autore il proprietario del blog Luca Mazzon – non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all’autore stesso. E’ vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma. E’ vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.



·  Burland, K., & Davidson, J. W. (2002). The role of the family in supporting learning and development in elite young musicians. Psychology of Music, 30(1), 121-134.. Training the talented: How do musical skills develop? British Journal of Music Education, 19(3), 253-276.

·       Dweck, C. S. (2006). Mindset: The new psychology of success. Random House.

·       Freeman, R. B. (2008). The new global labor market. Focus, 26(1), 1-6.

·       Groysberg, B., Nanda, A., & Nohria, N. (2004). The risky business of hiring stars. Harvard Business Review, 82(5), 92-100.

·       Hallam, S. (2001). The development of expertise in young musicians: Strategy use, knowledge acquisition, and individual diversity. Music Education Research, 12(2), 123-138.

·       Macnamara, B. N., Hambrick, D. Z., & Oswald, F. L. (2014). Deliberate practice and performance in music, games, sports, education, and professions: A meta-analysis. Psychological Science, 25(8), 1608–1618.

·       Papageorgi, I., Hallam, S., & Welch, G. (2007). A conceptual framework for understanding musical performance anxiety. Psychology of Music, 35(4), 443-465.

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